Tante, tantissime persone vedono nel beauty e nella cosmetica una sfera altamente superficiale e volta alla sola gratificazione estetica. Queste persone forse non sanno che, in alcune parti del mondo, ci sono donne che ne hanno fatto un baluardo di indipendenza e libertà.
Succede leggendo uno degli ultimi post pubblicati sul blog BeautySkew da Abigail Posner, donna dalle innumerevoli doti e traguardi, tra cui lavorare come Head of Strategy per Google negli States (e che ho avuto il piacere di incontrare ad un evento sulla comunicazione un paio d’anni fa).
Un post che mi ha talmente colpita e ispirata da voler riproporre una riflessione che spero alimenti l’orgoglio di chi nel beauty già ci crede e, al contempo, convinca gli scettici.
Il Beauty non ha nulla di superficiale – al massimo possono esserlo alcune persone che ne fanno uso e comunicazione nel modo sbagliato. Il Beauty è, per moltissime donne nel mondo, un vero e proprio grido di aiuto e riconoscimento personale.
Danbi Kim, simbolo della Resistenza Beauty in Corea del Nord
Dambi Kim ha iniziato ad importare prodotti di contrabbando all’età di soli 15 anni, sfidando la sorte nel corrompere le guardie a presidio del confine tra Hyesan, suo paese natale, e la Cina.

Se per le Flapper degli Anni Ruggenti gli oggetti ‘rubati’ del desiderio erano alcolici e sigarette, la scelta di Danbi cadde su capi d’abbigliamento e cosmetica. Oggetti d’uso quotidiano e talmente comuni (basti pensare alla moda dilagante della K-Beauty in Occidente) da far pensare alla semplice ragazzata di un’anima ribelle.
E invece no. Perché Corea del Nord e Corea del Sud (dove nasce appunto la K-Beauty) sono molto, molto, molto diverse.
A renderle diverse è la presenza – nella prima – di un regime tirannico che mira a soffocare qualunque forma di crescita personale e individuale. Una dittatura che approda persino alla sfera dell’apparire portando a dichiarare fuori legge cosmetici, make up e profumi.
Di rimando, la segreta domanda interna di questi prodotti si è innalzata moltissimo portando Danbi a sfidare il sistema, dandovi illegale risposta.
È stato grazie al contrabbando che tantissime donne nordcoreane hanno potuto conoscere e lasciarsi affascinare da concetti per noi semplici, per loro invece utopistici, come Self Expression, Fashion, Trendy, Glamour.
In quel periodo – circa 10 anni fa – i cosmetici non avevano neppure un nome identificativo in quell’area del mondo. Il rossetto era definito, per esempio, quella cosa che si mette sulle labbra.
Prodotti senza nome, eppure fortemente sognati e agognati nell’ombra delle loro camere da letto, osservando il proprio riflesso nello specchio della toeletta.
La completa negazione della libera espressione e il tentativo di soffocare qualsiasi indipendenza e relativismo passava (e passa tuttora) attraverso il privare le donne del piacere di comunicarsi attraverso l’apparire.

E intanto, Danbi evadeva migliaia di ordini al giorno, recapitandoli in ogni angolo remoto del Paese.
Quando un rossetto è molto di più di “un rossetto”
A nessun regime piace la disobbedienza e Danbi Kim ha pagato la sua voglia di rivoluzione con pubblica umiliazione e mesi di tortura seguiti dalla detenzione in un campo di concentramento (a cui è sopravvissuta grazie al fratello che ha mentito per lei, addossandosi le colpe del contrabbando).
Una storia (riportata con più completezza da Refinery29) che diventa simbolo di un problema più grave e più ampio, e che mi riporta rapidamente all’incipit di questo articolo: come è possibile considerare make up e cosmesi superficiali se persino un regime dittatoriale ne vuole annullare la diffusione così come accade per religione, stampa e idee politiche?
La risposta è che un rossetto è molto di più di un rossetto.
È simbolo di manifestazione di chi si è / chi vorremmo diventare / quale parte di noi comunicare al mondo. È manifestazione di una scelta individuale volta all’individualismo, gioco di parole permettendo. È fare show off del proprio io con orgoglio e serietà.
Concetti spesso difficili da comprendere per chi entrando da Sephora vede quotidianamente lunghissime file di oggetti colorati che sembrano tutti uguali e, al contempo, tutti inutili. Tutti sempre disponibili.
Per questo motivo la storia di Danbi e il protezionismo cosmetico attuato dalla Corea del Nord devono uscire allo scoperto e creare informazione, dubbi, scalpore e vergogna.
Noi siamo la maglietta che indossiamo, il rossetto che sfoggiamo. Le nostre scelte in termini di tessuti, brand, colori ci identificano e rendono gli uni diversi dagli altri. Raccontano di noi.
Che questa storia vi faccia portare con più onore l’ennesimo rossetto rosso che avete acquistato.
Che questa storia vi faccia smettere di giudicare la prossima persona ‘troppo truccata’ che volete prendere in giro per strada, o su un profilo Instagram.
Beauty is a 360° Revolution.